mercoledì 31 marzo 2010

Il «discorso costruito» della Tv per ragazzi

Il «discorso costruito» [1]  della Tv per ragazzi

1. Tv dei ragazzi e tv per ragazzi
C’era una volta la Tv dei ragazzi, gloriosa fascia pomeridiana con indimenticabile monoscopio, dal 1954 al 1976, perfetto rispecchiamento degli intenti pedagogici della tv delle origini e in seguito icona forte dell’impostazione televisiva dell’era bernabeiana. C’erano i generi per adulti ridotti e organizzati per i piccoli, c’erano format studiati e appositamente creati[2] da autori illustri come Cino Tortorella o Gianni Munari, Gianni Rodari o Lele Luzzati o, più tardi, Bianca Pitzorno o Piumini. C’erano una volta spazi e tempi di fruizione ben delimitati e scanditi, la tv dei più piccini dalle 16,30[3] alle 17,30 e quella degli scolari dalle 17,30 alle 18,30, ad accompagnare merende di gruppo e chiacchiere  fra coetanei, con un palinsesto organizzato per giorni della settimana fino al clou del programma del sabato pomeriggio come il primo quiz-protocontenitore di lunga durata con giochi a squadre e ospiti[4] Chissà chi lo sa? (che attraverso lo stimolo dello spirito di competizione, per tredici anni dal 1961 al 1974, ha contribuito sostenere l’interesse dei ragazzi nei confronti della cosiddetta “cultura generale”), fino a Disney Club alla soglia degli anni ‘90. C’erano anche programmi per bambini (La rosa dei venti 1954, Costruire è facile 1956) e programmi per bambine (Anni verdi 1957, Per te Elisabetta 1966), stereotipati ma ben lontani dagli eccessi quanto a tratti relativi all' identità di genere di serie quali Dragonball o di Winx. Tuttavia già da allora i bambini, esploratori del mondo per radicato statuto psicocognitivo, sconfinavano volentieri oltre lo spartiacque generazionalmente trasversale di Carosello verso fiction musicali come Gian Burrasca del 1964, o fiction “gialle” come Belfagor del 1965, Il tenente Sheridan del 1967, I racconti di padre Brown del 1970, Il segno del comando del 1971, Nero Wolf 1969 o, sul fronte della divulgazione, verso tutte le trasmissioni “scientifiche” del tempo. La lotta coi genitori per il dopo Carosello diventava allora sana voglia di oltrepassare limiti e confini. Col tempo gli sconfinamenti sono diventati sempre maggiori, l’offerta per ragazzi si è ampliata in modo esponenziale (dalle proposte delle reti berlusconiane con i contenitori farciti di pubblicità, fino ai venti canali satellitari dedicati) e la fruizione televisiva si è dilatata, con tempi di visione meno scanditi e spazi che incrementano un uso personale e non controllato del medium (la tv nella cameretta dei più piccoli). Inoltre, la trasformazione complessiva della neotv verso registri ludici (childlike tv) ha ampliato il fenomeno dell’esodo dei bambini dagli spazi e dalle trasmissioni a loro dedicate. Il periodo dal 1976 al 1986 è stato in questo senso importantissimo. Proprio dal 1976 la Tv dei ragazzi  come fascia ben distinta di programmazione non esiste più, da quegli anni in poi Raidue, Raitre, Rete4 prima e Italiauno poi hanno frazionato l’offerta in una breve fascia mattutina, una fascia pomeridiana e una fascia preserale, assecondando un trend di mercato che vede la tv come babysitter per i momenti “difficili” della vita familiare: prima della scuola, dopo la scuola e prima di cena. Inoltre, la riforma della Rai e l’avvento delle tv private determinarono, sempre a partire da quella data, una temperie nuova anche nell’ambito delle trasmissioni per bambini. Da una parte ciò comportò la ripresa e il progressivo ampliamento della testualità del “contenitore pedagogico” cominciato con Giocagiò, dall’altra la produzione autonoma di fiction per bambini come la serie Love me Licia (1986 su Italia Uno), che prosegue in live action la fortunata serie di cartoni animati giapponese Kiss me Licia. Il programma contenitore si dirama ben presto in due filoni autonomi, uno che segue gli intenti pedagogici del già citato Giocagiò continua con Uoki-Toki di Donatella Ziliotto, (dal 1975 al 1977), trovando poi la sua migliore espressione nell’Albero azzurro (dal 1990, Raidue e Raiuno a oggi), programma completamente autoriale, una sorta di situation comedy per piccolissimi incentrata dapprima su tre personaggi[5] e nella  La Melevisione (in onda dal 1999, Raitre)[6], che usa «il mondo fiabesco come filtro cognitivo e metafora della realtà[7]» Il secondo filone è invece più spettacolare e spensierato ed è composto da parti con un conduttore/ mediatore di contenuti e da cartoni animati. Un esempio era Tandem, in onda su Raidue dal 1982 al 1986, seguito da Big e Uno per tutti su Raiuno, Bim Bum Bam, in onda dal 1982 al 2001 su Italia Uno, e Ciao Ciao (in onda dal 1985 al 1998 su Retequattro). Tali programmi Mediaset godevano di una conduzione “mista”, ovvero  presentatori affiancati dai pupazzi e proposero diverse serie di cartoni animati di successo, tra le quali ricordiamo Hello Spank, Mimì e la nazionale di pallavolo, Masters e i dominatori dell’universo[8] . In Dirodorlando (dal 1975) di Cino Tortorella e Guglielmo Zucconi si ritornava con formula rinnovata al prototipo del gioco a quiz per bambini, Chissà chi lo sa condotto da Febo Conti. Due squadre di ragazzi, guidati da Ettore Andenna, si sfidano su argomenti di cultura varia e prove di abilità dando vita a un modello di programma che sarà ripreso e ampliato nei contenuti e nelle strategie comunicative da Solletico (in onda su Raiuno dal 1994 al 2001) [9]. Proprio con Solletico si sperimenterà un contenitore per tweens (abbreviazione di between, ovvero quella delicata e complessa fascia d’età intermedia fra i sette e gli undici anni) sulla cui scorta si collocherà poi Disney Club: ritornano in studio i ragazzini che partecipano a giochi a squadra, e si mantiene un clima concitato e attivo per cominciare a far concorrenza ai contenuti dei videogames che in quel periodo entrano definitivamente nella dimensione sociocomunicativa dei ragazzini. Ancora attuale quanto osservava Caviezel 2004:«Venuta a mancare la grande motivazione pedagogica paleotelevisiva [...]lo spazio della “tv dei ragazzi” si allarga così tanto da sparire»[10]. Piuttosto che scomparire, in realtà, nel corso dell’ultimo triennio, come si accennava, l’offerta della tv per ragazzi è profondamente mutata a seguito della proliferazione di canali tematici offerti dalla tv satellitare e dal bouquet Sky, in continua trasformazione, con un primo modello  basato su frammenti della durata media di 30 minuti, sistemati in fasce orarie fisse e un palinsesto sostanzialmente unico, ripetuto tutti i giorni[11].(Cartoon Network) e un secondo modello, più “generalista” e articolato per contenuti e moduli comunicativi (Disney Channel, Nickelodeon). Cartoon Network si caratterizza nel suo insieme per uno stile caratterizzato da un ritmo che Centorrino 2006 ha definito stroboscopico, con spot visivi, verbali e musicali che si susseguono continuamente, testualità musicale e visiva sincopata, spesso ellittica. Lo stile di parlato, in linea con tali caratteristiche, si mostra franto, veloce e ipercaratterizzato da un punto di vista espressivo, ricco di stile nominale, di periodi brevissimi, di forme onomatopeiche e fumettistiche, di idiomatismi a effetto. Disney Channel, invece, coniuga nuclei tematici ancorati alla tradizionale american way of life, con linguaggi televisivi chiari e articolati. Oggi sono presenti nel settore ragazzi venti canali più tre canali tematici stranieri (K2, Al Jazeera kids, Baraem) e la distribuzione dei contenuti subisce continui mutamenti[12]. In ogni caso la tv per i bambini è un caso a parte nella comunicazione veicolata dal medium televisivo. Non si tratta di un genere, né di un sottogenere, quanto piuttosto di un sistema articolato pluricodice orientato verso destinatari ideali e identificabili, anche se tale identificazione risulta sempre più complessa, considerati i problemi socioculturali relativi alle fasce d’età dei potenziali fruitori della programmazione televisiva per bambini[13]. Reti e produttori, infatti, continuano a creare una seppur ridotta programmazione per bambini e per ragazzi, e tuttavia bambini e ragazzi guardano anche, e spesso quasi esclusivamente, la tv per “grandi”, la quale è sovente così childlike (Farnè 2003) da risultare graditissima ai minori. Dal canto loro i “grandi” gradiscono largamente proprio generi tipici della tv per bambini come i cartoni animati, dotati di contenuti eterogenei, o i serials per “famiglie”. Non è tutto: nell’odierno sistema culturale che affonda le sue radici nella produzione tecnologica digitale (videogiochi, playstation), con le sue diramazioni televisive e informatiche, la comunicazione per bambini è veicolata da un intero sistema multimediale e commerciale interconnesso che si configura come reticolo di codici visivi, verbali, plurisensoriali spesso non facilmente decifrabili senza adeguati processi di mediazione e di negoziazione dei contenuti[14], con riflessi anche sul sistema linguistico in via di formazione. L'offerta del bouquet Sky, poi, crea prepotentemente nuove dinamiche di ricezione e di fruizione, nuovi modelli tematici, testuali e linguistici di riferimento. Si può inoltre affermare che i bambini oggi hanno sviluppato “anticorpi” nei confronti della tv[15]: usano il telecomando con cognizione di causa, si stancano presto della visione di flusso, alternano la tv coi videogiochi e le chat o i giochi sul web. Partendo da questa prospettiva, che si può definire cross-mediale[16], esaminare il parlato della tv dei ragazzi alla ricerca di specificità e di connotazioni di un input linguistico, fondamentale nella fascia d’età che vede un esponenziale processo di appropriazione della lingua da parte del bambino stesso, è dunque un fatto complesso, controverso e per certi versi progressivamente più sfuggente. In effetti, il parlato televisivo delle trasmissioni per l’infanzia, costruito dagli adulti a tavolino sulla base di idee piuttosto precise in merito a cosa possa e debba essere detto ai bambini, rappresenta una fetta consistente ma non certo esclusiva dell’input linguistico ricevuto dai bambini, tuttavia esso è ancora un nucleo importante nella formazione della loro competenza linguistica, pur con i limiti della ricezione dei messaggi televisivi di flusso, non negoziabili[17], con in più l'effetto disorientante dell' accumulo passivo di informazione[18]
In questa prospettiva bisogna distinguere tra programmi per l’infanzia calibrati sul target d’età dei bambini, “confezionati” in base a orientamenti pedagogici precisi e cartoni animati i quali non solo si indirizzano generalmente a un pubblico più indifferenziato, ma propongono una proporzione di componente iconica che spesso mette in secondo piano la componente verbale, pertanto il bambino bombardato da stimoli sensoriali ha notevoli difficoltà nel passaggio dalla fase di input a quella di intake in quanto non ha modo di mettere in atto l’essenziale processo di negoziazione. Se i programmi costruiti per i bambini della paleotv e della prima neotv mostravano un chiaro intento didattico-linguistico (strategie di evitamento di termini ritenuti dall’adulto che scrive il programma come troppo “elevati”, o troppo scurrili o di ripetizione stereotipata di moduli provenienti dal baby talk e inclinazione verso la tradizione letteraria per l’infanzia)[19], quelli di oggi strizzano l’occhio al giovanilese (per esempio la nuova edizione dell’Albero Azzurro) e si sforzano di far dimenticare che sono “per piccoli” concedendo, per esempio, minor spazio a tratti specifici del baby talk e alle strategie enunciative didascaliche come l'uso di perifrasi esplicative o di schemi parafrastici.